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150° dell'Unità d'italia: PENSIERO E AZIONE: MAZZINI E GARIBALDI NELLA COSTRUZIONE DELL’ITALIA UNITA
di Francesco Marino (1)
Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi si incontrarono per la prima volta a Marsiglia nel 1833: due personalità completamente diverse, due uomini che certamente non potevano immaginare quanto determinante sarebbe stata, negli anni a venire, nonostante i contrasti a volte dirompenti che caratterizzarono spesso i loro rapporti, la loro reciproca influenza e quanto incidente la ricaduta della lucida determinazione intellettuale dell’uno e della travolgente azione guerriera dell’altro per il futuro dell’Italia.
Di quel loro primo colloquio ci lascia una viva immagine Pascoli nei “Poemi del Risorgimento”, pubblicati postumi dalla sorella Maria. Allora Garibaldi aderì col nome di battaglia Borel alla nascente Giovine Italia, impegnandosi a portare a termine gli incarichi affidatigli. Ma al di là degli esiti non particolarmente favorevoli di quelle prime azioni che dovevano sostenere un’imminente sollevazione a Genova, sarà dopo il 1848 che maggiormente si potrà cogliere il rinforzo operativo teso al comune obiettivo della liberazione d’Italia dallo straniero e sorretto dai comuni ideali di giustizia sociale, di democrazia repubblicana e di fratellanza tra i popoli. Anche quando Garibaldi, tra il 1835 ed il 1848, lottò in America Latina per la libertà di quelle terre, i legami con Mazzini si mantennero saldi e continuativi, al punto che da Mazzini ricevette sufficienti sovvenzioni per dar vita, nel 1843, alla “legione italiana” con cui combattè vittoriosamente in Paraguay in difesa di Montevideo assediata. Fu in quel frangente che, per la prima volta, i suoi uomini indossarono la camicia rossa.
Con il ritorno in Italia, nel 1848, i rapporti con Mazzini si intensificarono, non sempre però, come si diceva, in modo idilliaco. Il 1849 rappresentò un momento di particolare convergenza, anche operativa, tra i due, soprattutto per la presenza di Garibaldi in difesa della Repubblica Romana, che vide l’iniziale vittoria sul comandante delle truppe francesi Oudinot, inviato da Napoleone III per restaurare il potere temporale di Pio IX, ma successivamente anche la rovinosa caduta della vera prima Repubblica democratica sorta in Italia, sotto i colpi di forze militari preponderanti, meglio equipaggiate ed organizzate.
I rapporti con Mazzini cominciarono a rarefarsi e passarono ben cinque anni prima che i due si reincontrassero nuovamente a Londra, nel febbraio del 1854, dove Mazzini viveva ormai dal 1850 e dove Garibaldi arrivò al culmine di una serie di spostamenti. Pendeva su di lui un’espulsione dai territori del Regno di Sardegna e dove certamente lo Stato Pontificio e il Governo austriaco del Lombardo Veneto non avrebbero tollerato la sua presenza nei loro territori.
Diverse e contrastanti cominciavano a presentarsi le possibili direttrici politiche da seguire per realizzarli. Garibaldi disapprovava i “tentativi intempestivi” di Mazzini, che in quegli anni avevano spinto molti giovani al sacrificio supremo della vita in vari moti insurrezionali falliti miseramente. Per parte sua Mazzini non vedeva di buon occhio un certo riavvicinamento di Garibaldi alla politica di Cavour.
E però altrettanto vero che lo stesso Mazzini pochi anni dopo, il 19 agosto 1859, in una lettera all’amico Pietro Cironi diceva a chiare lettereche cambiando l’orizzonte politico di riferimento, le idealità repubblicane potevano attendere pur di permettere l’unificazione e l’indipendenza d’Italia.
Sono questi gli anni in cui, pur tra divisioni e incomprensioni reciproche, Mazzini e Garibaldi videro realizzarsi parte dei loro programmi politici. La seconda guerra di indipendenza e l’impresa dei mille portarono alla proclamazione del Regno d’Italia di cui si celebra oggi il 150° anniversario. Certo non si realizzò la Repubblica e la mancata marcia su Roma di Garibaldi, dopo la conquista del Regno delle due Sicilie, impedì di dare subito all’Italia la sua capitale naturale. In quell’occasione Mazzini non risparmiò critiche amare a quella decisione di consegnare, senza alcuna contropartita, tutto il territorio conquistato a Vittorio Emanuele.
Anche il Carducci, dopo la presa di Roma, dedicò un sonetto a Mazzini che si chiudeva con questi versi:
Esule antico, al ciel mite e severo
Leva ora il volto che giammai non rise,
-Tu sol- pensando- o ideal, sei vero.
Solo gli ideali sono veri, perché solo negli ideali troviamo la forza per lottare e per raggiungere la verità.
E gli ideali, come ben si sa, non portano solitamente lauti guadagni. E così fu anche per Mazzini e Garibaldi. Mentre il primo moriva a Pisa, il 10 marzo 1872, sotto falso nome perché ancora ricercato dalla polizia, l’Eroe dei due Mondi si rifugiava nella sua Caprera, lontano da onori e dal mondo e lì moriva il 2 giugno 1882.
Se da un lato Garibaldi rappresentò, non solo per l’Italia, ma per tanti altri popoli l’eroe romantico per antonomasia, che tutto fece sempre con animo aperto all’avventura, seguendo l’impulso della passione politica e dei sentimenti, per altro verso Mazzini, lucido pensatore e impareggiabile politico democratico europeo, dedicò l’intera sua vita al perseguimento degli stessi ideali, con una visione sicuramente più politica e più proiettata verso un futuro di democrazia repubblicana che in nostro Paese riuscirà però a realizzare solo al termine della seconda guerra mondiale, con la nascita della Repubblica e la promulgazione della Costituzione Repubblicana.
Un felice intreccio di pensiero e azione quindi che, sviluppandosi in un arco temporale decisivo per le sorti d’Italia, quale fu quello del Primo Risorgimento, determinò il sedimentarsi nell’animo popolare di forti spinte indipendentiste e di altrettanto intense aspettative di giustizia sociale. I risultati allora conseguiti, e rinforzati vieppiù un secolo più tardi, durante la Resistenza, con il cosiddetto Secondo Risorgimento, per i quali ancora oggi ci sentiamo debitori, non possono però farci dimenticare che molto ancora resta da compiere, soprattutto sul versante della giustizia sociale e, in prospettiva, relativamente all’altro grande traguardo che sia Mazzini, sia Garibaldi intravidero lontano ma nitido al loro sguardo, e cioè una vera unificazione europea.
Nel 1867 Garibaldi, partecipando a Ginevra al Congresso Internazionale della Pace a cui presenziavano rappresentanti di quasi tutti i Paesi europei, nel suo appassionato intervento, disse in modo diretto, com’era nel suo stile: “Tutte le Nazioni sono sorelle…La guerra tra queste Nazioni è impossibile…Solo la democrazia può porre rimedio al flagello della guerra”.
Frasi emblematiche di chiara derivazione mazziniana. In quell’occasione Mazzini non era presente a Ginevra ma si può immaginare che il suo intervento non sarebbe stato molto diverso.
Il Terzo Risorgimento dovrà quindi consistere, non solo per l’Italia, ma per l’intera Europa, nella piena realizzazione di questi ideali e nel conseguimento in un futuro, non sappiamo quanto lontano, di ciò in cui Mazzini e Garibaldi fermamente credettero e per cui lottarono durante tutta la loro vita e cioè la pace tra i popoli, non solo d’Europa ma di tutto il mondo.
Spesso ignorando la Storia d'Italia, anche quella insegnata alle elementari,i cosiddetti "innovatori" vorrebbe uno Stato nello Stato, ricevendone tutti i vantaggi dallo Stato nazionale e negandone i doveri ad esso connessi. Parlano di "Secessione", a dispetto dell'art. 5 della Carta Costituzionale, a loro non troppo gradita. L’inno nazionale, dopo oltre due secoli, non va bene, bisogna sostituirlo con un altro; quell'inno sorto in un momento di grande fermento insurrezionale, scritto da un patriota, cantato da allora ad oggi dagli italiani, presente in tutti i momenti solenni dell'Italia. E non va bene la bandiera - art. 12 della Costituzione - simbolo dell'Italia per la quale si sono immolati a migliaia i giovani, dal Risorgimento ai nostri giorni, per l'Italia di oggi mai così offesa e oltraggiata
"Il Sud non ha speranze di risollevarsi" mi diceva un amico del Nord! Ma questa è un'altra storia, direbbe qualcuno. Si accennava ai veri italiani e chi, tra questi, se non Carlo Pisacane?
Se lo chiediamo ai secessionisti è probabile che dicano, come minimo, di non conoscerlo o, se affermano diversamente, ne parlano male come parlano male di Garibaldi e di Mazzini perché son serviti tutti, anche se in momenti diversi, a "fare l'Italia" .
Come scrive Massimo Gramellini su La Stampa del 7 gennaio scorso, “Ci attende un anno di inni, parate, discorsi e baruffe sulla Patria, ma nessuno può dire se alla fine del 2011 gli italiani si innamoreranno di lei o se ne saranno definitivamente nauseati. Probabilmente continueranno a trattarla come ora, con amore comparativo: parlandone bene solo quando sono all’estero”.
Se invece si riaprisse, proprio sul piano culturale, un confronto su quel che ci sta davanti, piuttosto che su quel che in passato ci ha diviso, forse il 150° potrebbe avere una qualche utilità.
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(1) Presidente della Sezione di napoli dell'Associazione Mazziniana Italiana