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T’arricuorde?Visita guidata alla Basilica di Superga (TO): 30 aprile 2010
La tragica fine del “grande Torino”
Nota a cura di fda
Tutto il mondo dello sport, e in particolare quello del calcio, ricorda sempre con grande tristezza la sciagura del 4 maggio 1949 che annientò, in un terribile incidente aereo, la squadra di calcio più forte del campionato di quegli anni: il “grande Torino”, che era riuscito a vincere ben cinque scudetti di seguito. Inoltre dieci calciatori della squadra granata erano titolari nella Nazionale italiana, che, con tutti e dieci presenti in campo, proprio al comunale di Torino nel 1947 aveva battuto per 3 – 2 la forte compagine d’Ungheria. Del resto il Torino era fortissimo in casa e da sei anni era imbattuto nel mitico stadio Filadelfia , dove il tifo era incontenibile.
La tragedia di Superga sconvolse tutti gli Italiani, anche in non appassionati di calcio, perché il “grande Torino” era diventato il simbolo della rinascita e del riscatto di un popolo e di una nazione che voleva riprendere a volare alto. La sciagura fu determinata, in effetti, da tutta una serie di coincidenze nefaste.
La squadra tornava da Lisbona dove era andata a disputare, prima fatalità, non una gara ufficiale di una competizione tra clubs, ma semplicemente una partita per una manifestazione di addio al calcio di un famoso calciatore portoghese, Josè Ferriera.
Questa partita era stata organizzata per interessamento di Valentino Mazzola, il forte calciatore della Nazionale italiana, il quale, dopo la partita contro la Nazionale portoghese, prese accordi col collega del Benefica che aveva manifestato il desiderio di avere, per la sua partita di addio al calcio giocato, come squadra ospite proprio il “grande Torino”.
Seconda fatalità, Mazzola non era in forma fisica adeguata, per un’influenza, ma pur di non deludere Ferriera, volle essere ugualmente della partita e decise di partire con la squadra. La partita fu vinta dal Benefica per 4 – 3.
Terza fatalità, l’aereo doveva atterrare a Milano, ma il pilota, Pier Luigi Meroni, cosa di cui non si venne mai a saper il motivo, stranamente puntò verso Torino.
Quarta fatalità, Torino era quel giorno avvolta in una nebbia fittissima e fu proprio a causa della nebbia che il trimotore Fiat N°212, l’aereo delle Aviolinee Italiane, che trasportava i calciatori, andò ad urtare contro i muraglioni di sostegno del giardino della Basica.
L’incidente causò la morte di 31 persone tra calciatori, dirigenti, direttore tecnico, allenatore, massaggiatore, organizzatore, giornalisti al seguito, pilota e membri dell’equipaggio. Una lapide nel giardino della Basilica ricorda i loro nomi. Vittorio Pozzo venne chiamato a riconoscere le salme; al funerale parteciparono, oltre le autorità politiche e del mondo del calcio, più di cinquecentomila persone, giunte anche da varie parti d’Italia.
Quell’anno mancavano quattro giornate alla fine del campionato, lo scudetto fu assegnato al Torino alla memoria. Il Torino per le ultime partite mandò in campo, pur essa costituita da forti calciatori, la squadra di riserva, che vinse tutte e quattro le restanti partite, ma anche le compagini avversarie schierarono i rincalzi in segno di solidarietà.
Il Torino era stato messo in piedi, per dir così, sotto in bombardamenti della guerra da Ferruccio Novo, che portò anche in Italia il modulo WM adottato dalla squadra inglese dell’Arsenal.
Dalla tragedia di Superga si salvarono per circostanze al momento negative per loro, ma favorevoli per aver salva la propria vita: il calciatore Sauro Toma, che non partì, per un grave infortunio al ginocchio che compromise poi la sua carriera, il presidente Ferruccio che, all’ultimo momento, dovette rinunciare ad andare a Lisbona per sopravvenuti e imprevisti problemi di lavoro.