Da tenersi sotto chiave: un saggio storico letterario

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La letteratura antica sulla Sindone di Torino: tre casi di censura ecclesiastica tra Cinquecento e Settecento.

La letteratura sulla Sindone di Torino vanta quasi cinquecento anni di storia.

È infatti del 1581 la prima opera monografica, in latino , scritta dal Barone torinese Emanuele Filiberto Pingon, intitolata Sindon Evangelica .

Trascorre poco più di un decennio, e il Sant’Uffizio censura brani di un altro libro sulla Reliquia torinese . Ma non è l’unico caso. Esiste infatti almeno un secondo testo, questa volta settecentesco, su cui le autorità ecclesiastiche intervengono esplicitamente per vietarne la pubblicazione.

 Per una terza opera, invece, non abbiamo indizi sulle motivazioni che ne hanno impedito la stampa, possono essere fatte solo ipotesi.

 Ed  è all’esame delle vicende editoriali e dei contenuti di queste tre opere, che è dedicato il saggio “Da tenersi sotto chiave” – Tre casi di censura e mancata pubblicazione nella letteratura sindonica del XVI e XVIII secolo. Youcanprint Edizioni 2023.

La prima opera presa in esame, è la più nota agli studiosi della Sindone perché primo libro in lingua volgare; scritto dall’Arcivescovo di Bologna Alfonso Paleotti, Esplicatione del Sacro Lenzuolo esce, in prima edizione, nel 1598.

Gli interventi dei revisori si concentrarono principalmente nei capitoli XVI e XIX. Questi furono completamente “epurati” da elementi della descrizione dell’immagine sindonica che, se pur anatomicamente corretti, per la sensibilitàcinquecentesca rappresentavano una rottura con la tradizione.

Uno di questi casi,  è la collocazione dei fori dei chiodi agli arti superiori: Paleotti nella sua descrizione li individua correttamente nei polsi, mentre i revisori, seguendo il pensiero comune,  gli fecero correggere quanto aveva scritto, facendoli posizionare al centro del palmo.

Innovazioni di questo genere da parte dell’autore, spinsero il Sant’Uffizio a chiedere che le stesse fossero stralciate per non confondere i fedeli (come ho illustrato nel libro però,  le motivazioni furono probabilmente anche altre).

 Il volume uscì quindi in una nuova versione, rivista e corretta nel 1599, mentre l’edizione originale, che rispecchiava il reale pensiero dell’autore, venne dimenticata.

La seconda opera, scritta nel 1714 dal Canonico di Giaveno (To) Pier Giacinto Gallizia, è intitolata Della Santissima Sindone e conservata nella Biblioteca Reale di Torino. Le sue vicende sono, a tutt’oggi, avvolte nel mistero.

Essa non venne pubblicata, pur avendo ottenuto due placet lusinghieri da parte delle autorità,  sia nel 1714 che nel  1715.

 I motivi di questo oblio restano, per ora, ignoti. All’ipotesi di una semplice dimenticanza da parte dell’autore, si oppone il monito “Da tenersi sotto chiave”, vergato, probabilmente intorno al 1750, sulle prime carte del manoscritto. Monito che è diventato anche titolo del mio  libro.

Terza e ultima opera esaminata è quella del Canonico Torinese Giuseppe Pasini, Storia della Santissima Sindone di Torino anch’essa custodita nella Biblioteca Reale.

 Questo manoscritto, commissionato al Pasini, probabilmente nel 1722, dal Duca Vittorio Amedeo II, fu sottoposto dal duca stesso all’esame di due vescovi: Francesco Giuseppe Arborio di Gattinara, vescovo di Alessandria e Michel-Gabriel Rossillion de Bernex, vescovo di Ginevra.

Entrambi esprimono il loro parere negativo alla pubblicazione, dopo aver fatto alcuni rilievi di carattere essenzialmente storico mancando, a loro dire, documentazione sufficiente a corroborare le tesi dell’autore riguardo ad alcune vicende della storia della Sindone che, per certi versi, restano misteriose ancora oggi.

L’intento del saggio non è solo quello di riportare alla luce opere che sono  state per secoli dimenticate, ma anche di confrontare quali erano le conoscenze di allora sull’oggetto Sindone e quali sono quelle di oggi;  evidenziando le intuizioni a, volte sorprendenti, di autori che non avevano gli strumenti di analisi moderni.

Testi le cui storie possono essere tutte racchiuse in quel “da tenersi sotto chiave” che, per questo, ho scelto come titolo.  

L’intento di questo lavoro è anche riportarli alla luce, rompendo quel sigillo di segretezza che li ha tenuti celati per troppo tempo.

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